martedì 10 novembre 2015

I pitagorici

La filosofia dei pitagorici affonda le sue radici nelle colonie ioniche, in particolare in quelle della Magna Grecia da cui poi si duffise nella Grecia continentale. 

Tale filosofia ha risentito delle diverse concezioni filosofiche, religiose e culturali dei luoghi entro cui si è originata, e delle culture di cui si era arricchito Pitagora (Samo, 570 a.C. - 495 a.C. circa) grazie ai suo numerosi viaggi in Oriente. Egli era a capo di una comunità religiosa e politica, con forti interessi scientifici e filosofici, detta scuola pitagorica il cui accesso era aperto a chiunque, donne e stranieri compresi. Benchè libera nell'accesso, una volta dentro imponeva delle rigide regole da seguire tra cui un periodo di noviziato, atto ad inizializzare coloro che ne volevano far parte, prima di farli accedere ai segreti della comunità. Tra le severe imposizioni da rispettare all'interno della setta vi era: mostrare fedeltà verso gli dèi e gli amici, obbligo di redigere un programma del giorno all'alba e di condurre un esame di coscienza la sera, divieto di consumare carne e fave, divieto di indossare indumenti di lana o accessori quali gioielli. In più, pare fosse vietato persino raccogliere oggetti caduti a terra ed accendere il fuoco con strumenti metallici. 

Il patrimonio culturale dei pitagorici veniva tramandato oralmente e su quanto appreso vigeva l'obbligo di mantenere riserbo, pena un processo di espiazione della colpa imputata, che poteva giungere persino alla morte. 

Quanto divulgato da Pitagora agli iniziati veniva espresso in maniera dogmatica, da cui nacque il motto della setta "ipse dixit", ovvero "lo ha detto lui". La dottrina elargita dal maestro veniva espressa attraverso risposte ad una serie di domande. Seppur privi di certezze in merito, è possibile che già nel corso del V secolo i pitagorici erano suddivisi in acusmatici e matematici: ai primi era concesso soltanto l'ascolto e veniva loro imposto il silenzio; i secondi, invece, erano abilitati ad elaborare pensieri propri, porre domande ed apprendere i segreti esoterici della setta.

All'interno della scuola pitagorica, sembrerebbe che i rapporti tra i membri interni fossero molto forti. Una possibile conferma all'intensità di tale legame potrebbe essere il modo cui Aristotele si riferisce ad essi in Metafisica: non nomina Pitagora singolarmente bensì la sua intera comunità che, contrariamente al pensiero dei singoli (dominante all'epoca), unisce le menti dei membri per elaborare concetti originali che riprendono in parte quanto già affrontato dai milesi. Purtroppo, non disponendo di adeguate testimonianze non è possibile ricostruire nel dettaglio il pensiero dei pitagorici e, nello specifico, distinguere quali idee appartengono alla dottrina originale di Pitagora e quali ai suoi successori. In genere, come fece anche Aristotele, quando si parla della scuola di Pitagora si fa riferimento a tutte le generazioni che vanno dalla metà del VI secolo a.C. alla metà del IV secolo a.C., comprendendo, dunque, oltre due secoli di storia ed evoluzione del pensiero pitagorico. 

Come detto, i pitagorici ereditano dai milesi il problema dell'arché. Essi lo individuarono nel numero, come recitato da una celebre frase diffusa all'interno della scuola: "Cosa c'è di più saggio? Il numero. Cosa c'è di più bello? L'armonia.". Il numero veniva considerato da loro come un entità concreta, dotato di caratteristiche spaziali quali estensione e forma poichè rappresentati geometricamente secondo una successione ordinata di punti. Stretto è il legame che riconoscono i pitagorici tra l'armonia ed i numeri: è probabile che l'esito delle loro ricerche sia giunto ai numeri studiando le relazioni numeriche dell'armonia musicale; similmente, il susseguirsi degli eventi nel tempo (i giorni, i mesi, gli anni, le stagioni, etc.) sono numerabili. Ciò costituisce un ulteriore elemento a sostegno della loro tesi. A questo, si aggiunge un aspetto religioso che riconosceva nella matematica un mezzo di purifiazione dell'anima e, conseguentemente, il concetto di numero era intriso di misticismo. Secondo la scuola pitagorica il numero era uno strumento per conoscere la realtà e la natura poichè la rende intelligibile e quantificabile, nonchè ordinabile

Il tema della lotta dei contrari, tanto discusso in questa epoca, è individuato dai pitagorici nell'opposizione tra i numeri pari e dispari: un numero pari può essere diviso in due parti, entrambe pari o dispari; un numero dispari, invece, una volta diviso, se una delle due parti è pari, l'altra, obbligatoriamente, deve essere dispari. Sfugge a queste caratteristiche soltanto il numero Uno che veniva chiamato parimpari poichè se sommato ad un numero pari lo fa diventare dispari e viceversa. Proprio per questo l'Uno ha in sè sia la natura del pari che del dispari.

Nella natura dei numeri pari e dispari, i pitagorici individuarono due differenze connotazioni, relative alla loro natura: se immaginassimo i numeri come una serie di punti disposti su un piano, dividendo uno dispari disegnando una linea retta, uno di questi punti sarebbe al vertice della punta e dunque limiterebbe la divisione; tale limite rende determinato e limitato un numero dispari che, proprio per questa ragione, veniva considerato perfetto. Contrariamente, un numero pari, poichè una volta diviso forma due gruppi perfetti, non è limitato e perciò risulta essere imperfetto. L'immagine sottostante chiarirà quanto espresso.



Rappresentazione grafica della divisione di numeri pari e dispari


Tra le altre caratteristiche che la scuola pitagorica individuò nei numeri vi è la possibilità di generare tutti i numeri dispari partendo dall'unità e disponendoli a squadra. La forma quadrata che tale distribuzione conferisce alla rappresentazione grafica è la ragione per cui i numeri dispari venivano chiamati anche numeri quadrati.


Rappresentazione dei numeri dispari

Per generare i numeri pari, invece, poichè illimitati possono essere distribuiti omegeneamente lungo i lati, causando la scomparsa del vertice della squadra e definendo così una forma più allungata: un rettangolo. Per questo venivano chiamati numeri rettangolari.



Rappresentazione dei numeri pari

Tra le altre proprietà dei numeri i pitagorici individuarono in essi delle corrispondenze magico-religiose: l'uno rappresentava l'intelligenza (immobile e singolare), il due l'opinione (il cui esito oscilla in due direzioni opposte), il quattro o nove la giustizia (essi sono il quadrato del primo numero pari o del primo dispari), il cinque il matrimonio (unione del primo numero pari col primo dispari). Di particolare rilevanza è il numero dieci che veniva visto dalla scuola di Pitagora come il numero perfetto in quanto rappresenta la mistica decade. Esso veniva rappresentato come un triangolo equilatero con quattro punti per ogni lato; tra le altre peculiarità c'è la presenza in misura uguale di numeri pari e dispari: alla base vi era il 4, sopra il 3, poi il 2, infine, al vertice, l'1. In aggiunta, dieci erano le opposizioni fondamentali individuate dai pitagorici: limitato/illimitato, pari/dispari, uno/molti, destra/sinistra, maschio/femmina, luce/buio, buono/cattivo, mobile/immobile, retta/curva, quadrato/rettangolo.Sulla base di queste opposizioni la scuola di Pitagora raggruppa entro i numeri dispari le determinazioni positive e in quelli dispari quelle negative. Grazie all'opposizione tra questi contrari si origina l'armonia universale che definirono per la prima volta cosmo, ossia insieme ordinato di cose la cui massima espressione è identificata nei numeri e nella musica.



Il dieci rappresentato sotto forma di triangolo equilatero


Una delle scoperte più grandi attribuite alla scuola pitagorica è quella relativa ai numeri irrazionali. Tale scoperta minò alla base le convinzioni dei pitagorici, che avevano individuato nel numero il principio di ogni cosa. Gli irrazionali, vennero definiti incommensurabili. Essi, poichè non possono essere rappresentati sotto forma di frazione intera sfuggono al concetto di razionalità, da cui irrazionali, appunto. Secondo la leggenda, Ippaso di Metaponto divulgò la scandalosa notizia all'infuori della comunità e per questo fu espulso e ucciso. 

Incerte e lacunose sono le notizie riguardo la vita di Pitagora. Per quanto non ci sia giunto alcuna sua composizione cartacea, certo è che la sua figura influenzò notevolmente il pensiero greco e romano, compreso quello della scuola di Platone. Gli avvenimenti salienti della vita di Pitagora sono stati ricostruiti principalmente grazie alle testimonianze di altri intellettuali dell'epoca, Aristotele in primis. Forse, Pitagora fu allievo di Anassimandro e compiè viaggi in Egitto, India e, più in generale, in zone orientali, appropriandosi delle relative culture. La scoperta del teorema che porta il suo nome (come anche alcune dottrine astronomiche) è forse da attribuire ai suoi discepoli benchè Pitagora, forse, ne conoscesse il significato. 
 

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